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Queer Cabaret folk

Mercoledì, 10 agosto 2016

di: Joel Martens
Fonte: ragemonthly.com
Tradotta da: Klaudia62
Redatta da: Marcy

"Perfeziona il mestiere", è una frase che spesso viene sbandierata nella comunità teatrale. E' un modo per raccogliere ed ampliare gli strumenti necessari per costruire una carriera di successo. E’ qualcosa che Randy Harrison ha fatto, da quando ha visto per la prima volta Sandy Duncan salire sul palco nel suo famoso ruolo di Peter Pan.

"Avrò avuto probabilmente quattro o cinque anni. Non ricordo la musica di per sé, ma mi ricordo il suo volo e la ribalta del palcoscenico. Ricordo di aver pensato che era quasi come un portale verso un altro mondo... E che volevo andare dall'altra parte".

E' stata una lezione continua da allora, anche durante i suoi primi giorni mentre cresceva a Nashua, New Hampshire, "C'era una compagnia là, si chiamava i “Nashua Actorsingers” e facevano un grande musical e uno per bambini ogni anno ed io ho iniziato a partecipare. Penso di averne fatti 4 tra i sei ed i dieci anni. Ovviamente non era a livello professionale, ma per me è stata una gioia e davvero una grande esperienza. Ne ho amato ogni minuto".

Gli studi musicali al liceo e poi all'università, lo hanno spinto ulteriormente verso il teatro musicale, insegnandogli una preziosa lezione su quello che era importante. "Amo la musica, ma una volta ottenuta la laurea in Scuola di Teatro presso il Cincinnati College Conservatory of Music, sapevo che non sarei mai stato soddisfatto facendo solo musica." Gli inizi della definizione di questa carriera di successo.

Ora, parliamo del resto della storia di Randy Harrison...

Pensi a te stesso più come un musicista che recita, o un attore che canta?

Io sono prima di tutto un attore. Non penso a me stesso come a un musicista. Io amo la musica e mi piace cantare, ma la mia connessione con la musica è sempre passata attraverso i testi e attraverso l'intenzione drammatica o quella poetica. E' stata una sfida per me, anche se ho studiato pianoforte e un po’ di teoria, non sono mai stato in grado di superare quel limite oltre il quale la musica diventa del tutto naturale. Sono incredibilmente non musicale per qualcuno che ora è in un musical, se questo ha un senso. (Ride) Io provo continuamente, ma c'è questa curva di apprendimento che io proprio non riesco a superare.

Sono passati circa 16 anni da Queer as Folk e dal tuo ruolo di Justin. Molto è cambiato da allora. In quel momento avevi il sentore di quanto fosse importante?

Sapevo che la sessualità ed il contenuto sessuale era, e sarebbe stato, socialmente importante. Avevo solo 22 anni e in realtà ero da poco cresciuto io stesso. Mi ricordo così chiaramente quanto fossi disperatamente affamato di qualsiasi tipo di rappresentazione quando uscii dalla scuola media e superiore e di trovare lavori come “Maurice” di E.M. Forster, o cose come “Jeffrey”... Tutto per me era importante. “Angels in America”, “Tales of the City”, si veniva a conoscenza di tutto ciò che aveva anche un solo personaggio gay. Più o meno, "Oh mio dio," un bacio gay. Per questo tipo di cose, sapevo che sarebbe stato socialmente importante per le persone omosessuali in una certa misura. Ma di certo non potevo sapere quale sarebbe stata la reazione globale, o che questa reazione sarebbe durata per così tanto tempo.

Ha fatto tanto per abbattere gli stereotipi verso la comunità gay e per molti versi regge sorprendentemente bene.

In un certo senso è come una capsula del tempo o un pezzo d’epoca ora, ed in questa ottica è ancora rilevante. Lo show è venuto prima del PrEP, delle apps, anche il mondo dei club è cambiato da allora. Almeno a New York, non ci sono più grandi club. Tutto è praticamente andato ora, perché tutti sono sulle loro apps. E’ interessante vedere di quali argomenti quei personaggi discutevano in quel periodo e di quanto sia poi in effetti successo ad oggi.

Queer as Folk ha davvero aperto le porte per tanti degli show che sono arrivati dopo. Cose come “The L Word”, “Glee”, “Looking” e tutti quelli a seguire. Non avverti il senso d’importanza della serie nello schema di queste cose?

Sì e no. Non credo che gli venga dato molto riconoscimento e questo è un peccato. Il momento in cui lo noto di più è quando mi capita di incontrare persone all’uscita del teatro ed in pubblico e ascolto le storie di come esso abbia aiutato le persone a fare coming out. Questa è l'eredità dello show di cui io sono più a conoscenza. Siamo stati parte di un zeitgeist (spirito dei tempi), un cambiamento nella rappresentazione gay e nel modo di discutere dei diritti dei gay – la lotta per l'uguaglianza del matrimonio e tutto il resto - siamo stati una parte di questo.

E 'stato difficile per te lasciarti quel ruolo alle spalle?

Per niente.

E agli occhi delle altre persone?

Justin era una sorta di archetipo del gay ingenuo e non era proprio quello che stavo facendo inizialmente nella mia carriera. Penso che se avessi voluto rimanere in televisione, forse non sarei riuscito a fare qualcosa di diverso, se avessi poi fatto qualcosa. Dovevo maturare e fare un lavoro molto diverso. Ero disperato dalla voglia di tornare al teatro dopo essere stato davanti alla telecamera per cinque anni. Ho potuto fare cose che erano molto differenti da quelle che avevo fatto, e usando diversi mezzi di comunicazione ed è stato grande.

Hai davvero lavorato sodo per espandere la tua esperienza come attore con ruoli in “Wicked”, “Equus”, “Amadeus”, “ One Flew Over The Cuckoo’s Nest”, tra i miei preferiti c’è il tuo ruolo in “ Glass Menagerie” al Guthrie di Minneapolis, un luogo che ha un posto speciale nel mio cuore. Hai un ruolo preferito tra quelli interpretati fino ad ora?

Il mio preferito finora è “Lucky” in “Aspettando Godot”. Amo Beckett, mi piace la lingua, l'umorismo e la sua visione del mondo. E’ in sintonia con me ed è così divertente da fare come attore. Il ruolo dell’Emcee in “Cabaret” è un altro. E’ la cosa più faticosa, eccitante e stimolante che io abbia mai fatto e l'uso più ampio del mio talento. E’ anche il più lungo dei miei lavori, saranno sei mesi la prossima settimana.

Come sei arrivato al ruolo di Emcee?

Ho fatto un’audizione per questo ruolo. Sono cresciuto con Joel Grey che interpretava questa parte, ma conoscevo la produzione e il revival e l’ho visto tre volte tra il 1998 e il 2002 e due volte con Alan Cumming in quel ruolo. A quel tempo, non mi ritenevo adatto al ruolo di Emcee, quindi non pensavo molto allo spettacolo. Non ero un ragazzo/soprano e non riuscivo a cantare "Tomorrow Belongs to Me" in un tono che fosse abbastanza alto, e non ero neanche molto interessato al personaggio di Cliff. (Ride) Ma con il diventare più grande, fare più spettacoli, lavorare sull’improvvisazione e sull’interpretazione dei personaggi, l’interesse è cambiato. Ero invecchiato abbastanza da poter essere preso in considerazione per questo tipo di parte.

Il ruolo è diventato disponibile per il tour di Cabaret e ho lavorato molto duramente sul provino per ottenerlo. Lo volevo davvero molto! Ho lavorato con il coreografo associato Cynthia Onrubia, che mi ha insegnato la maggior parte della coreografia per "Willkommen" fino a potermelo sentire addosso, ed è stato incredibile. Come attore è raro fare un provino per qualcosa che ti ecciti veramente, che tu abbia il lavoro o meno. Dopo l'audizione iniziale, ancora prima di sapere se sarei stato richiamato, non riuscivo a smettere di lavorare a "Willkommen" perché ero così eccitato immaginando me stesso nel ruolo. Si tratta di una parte così incredibile.

Quanto pensi che sia rilevante oggi quest’opera rispetto a quando è stata originariamente creata?

Penso che sia incredibilmente rilevante in questo momento... in maniera spaventosa. Il capro espiatorio e l’odiosa retorica nella nostra politica, la militarizzazione massiccia e il possesso di armi della nostra cittadinanza, insieme con il crescente livello di violenza nella società, è davvero spaventoso. “Cabaret” è stato scritto nel '66 come risposta al movimento per i diritti civili. Una specie di tentativo, credo, di aumentare la consapevolezza negli Americani del nord-est. Del piantare i semi del "Non puoi far finta che questo non ti riguardi" e del "Se non sei parte della soluzione, sei parte del problema". Dello schierarsi contro l'oppressione e le conseguenze del disimpegno politico e dell'inattività.

 

Siamo stati a Des Moines, poco dopo le primarie e in North Carolina poco dopo che la HB2 è stata approvata, quindi è stata un'esperienza davvero incredibile. Come molti altri Americani, credo di essermi sentito impotente. Quando c’è stata la strage di Orlando, ero nel bel mezzo di una pausa ed ero emozionato di tornare a lavorare perché onestamente sentivo che quello era uno dei migliori usi che ho in quanto essere umano. Sono così fortunato per il fatto di far parte di una storia che si relaziona davvero con quello che sta accadendo ora, ad un certo livello.

“Cabaret” ha un’enorme svolta morale nel finale, il tappeto viene davvero tolto da sotto i piedi del pubblico, e in verità, è davvero molto gratificante come performer. (Ride) Più coinvolgi il pubblico nel divertimento dello spettacolo, nel suo essere sexy, nel suo essere rude, tanto più orrore prova alla fine. E’ così gratificante poter ascoltare i commenti dopo lo spettacolo e capire che si sentono come se avessero preso un pugno nello stomaco. Ti senti quasi in colpa, ma poi ti rendi conto quanto sia bello sentirli rispondere... E di come questo significhi che hai fatto bene il tuo lavoro.

Hai un tuo momento preferito con il pubblico fino ad ora?

Mi sono piaciuti particolarmente quei momenti, dopo tre o quattro rappresentazioni dello show, quando alla fine il pubblico era così sconvolto che non applaudiva per lungo tempo. C'è una lunga pausa alla fine quando esco dal palco, e di solito proprio sul finale c'è questa grande rullata di tamburo e poi la gente comincia ad applaudire, ma a volte c’è un silenzio assoluto fino a quando le luci si riaccendo. E’ una cosa molto, molto potente e mi rende molto felice.

“Willkommen, bienvenue, welcome, I’m Cabaret, au Cabaret, to Cabaret…”




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