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Un brillante ‘Red’ al George Street

Giovedì, 9 febbraio 2012

Di: Bob Brown
Fonte: centraljersey.com
Tradotta da: Alessandra
Redatta da: Marcy
Non è necessario conoscere nulla riguardo l’arte moderna per apprezzare Red, sul palco del George Street Playhouse fino al 26 febbraio. Ma durante questa intensa rappresentazione, darete un’occhiata all’Espressionismo Astratto attraverso il punto di vista distorto del pittore Mark Rothko – un iconoclasta molto intimidatorio.

John Logan ha concepito questa sceneggiatura dopo essersi imbattuto nei murales di Rothko per il marchio Seagram alla Tate Gallery di Londra.Se ne stanno attaccati lì, soli e allontanati dal loro scopo originale di decorazioni per una sala da pranzo del nuovo ristorante Four Seasons nel Seagram Building. Che tipo di uomo porta a termine un’ambita commissione, poi ritira il lavoro e restituisce il denaro?

Logan ha costruito la sua sceneggiatura intorno a ciò che ha portato a questa sfrontata pennellata. La storia non riguarda tanto il pittore, quanto il mentore. David Saint, il direttore artistico del George Street, pensa che lo spettacolo sia particolarmente adatto per questa stagione [teatrale] in onore del suo ultimo mentore personale, Arthur Laurents. Quando il mentore è un genio, ci sono ricompense e frustrazioni. Alla fine, le vite vengono cambiate per sempre.

Sebbene il pittore abbia avuto assistenti di studio, loro sono stati puramente utilitaristici. Il rapporto che Logan crea tra Rothko (Bob Ari) ed il suo aiutante Ken (Randy Harrison) è un’intensa lotta tra le loro volontà. L’arco drammatico procede mentre il giovane aspirante artista viene ritemprato nel calore dell’arrogante considerazione di se’ del grande pittore.

Arriviamo a capire l’arte di Rothko attraverso il suo disprezzo per la cultura consumistica americana della metà del 20esimo secolo. Quando Ken entra nello studio per un colloquio per quel lavoro, Rothko gli ordina di guardare un dipinto in lavorazione. “Che cosa vedi?” lo sfida. La timida risposta di Ken suscita un’inferocita lezione sull’abissale ignoranza del suo giovane osservatore e sulla debolezza delle masse. “’Carino’, ‘Bello’, ‘Piacevole’, ‘Buono’, Questa è la nostra vita ora!” dice furioso. “Siamo una nazione compiaciuta che vive sotto la tirannia del “bene”..Noi non stiamo bene.”

Questo è l’essenza del lavoro di Rothko, di ciò che lui sta cercando di fare contro ogni probabilità che gli osservatori lo capiscano. Dovrebbe esserci un dialogo più prolungato tra l’osservatore e la tela. Dovete portare qualcosa al dipinto. Nonostante l’apparente semplicità – grandi parti di un unico colore in tele enormi – succedono molte cose che richiedono concentrazione. Non è [adatto] per l’osservatore casuale. Quello che alla fine viene percepito arriva da un profondo tumulto interiore.

Rothko è un bullo, un anti-sentimentale, un idealista pessimista, testardo e contraddittorio. Si vanta che la sua generazione abbia ucciso il Cubismo. “Il figlio deve allontanare il padre”. Picasso ora è una barzelletta, che guadagna migliaia [di dollari] con frettolosi scarabocchi. L’espressionismo astratto di Jackson Pollock alimenta semplicemente la sua passione per le decappottabili. Rothko fa la paternale a Ken sui vecchi tempi. Nessuna galleria, nessun critico, niente soldi, nessun mentore, niente genitori (“Eravamo soli”). Indossa la sua alienazione come un distintivo. Ironicamente, come fa notare Ken, ora lo stesso Rothko è tra gli artisti più stimati e più importanti.

Nei primi tempi del suo lavoro di assistente, Ken è servile e rispettoso. Tiene conto degli ammonimenti di Rothko riguardo al suo essere un semplice dipendente. Non saranno richieste opinioni. “Potresti essere così fortunato che io ti parli di arte” dice Rothko. Non diventerà una figura paterna o un consigliere. Nel suo studio hanno importanza soltanto le idee di Rothko, solo i suoi dischi possono essere messi nel grammofono. La caparbietà e l’ampollosità dell’uomo risultano a tratti quasi comiche. Lo spettacolo è cosparso di dialoghi spassosi che vivacizzano un personaggio altrimenti arrogante.

Ma man mano che il lavoro procede, Ken si confida riguardo alla sua storia personale e diventa più coinvolto. Ma sa reagire abbastanza adeguatamente a quello che vede ora – come i colori creino una tensione dinamica e inducano nell’osservatore fastidiosa ansia o ammirazione spirituale. Non ci sono pennellate statiche. Rothko spiega che creare arte richiede per lo più guardare e pensare.

Quando Ken diventa così coraggioso da nominare i nuovi artisti che ha visto -- Andy Warhol e i suoi barattoli di zuppa, Roy Lichtenstein e i suoi fumetti – la dinamica cambia. Il rifiuto del nuovo da parte di Rothko è l’occasione per far notare la sua ipocrisia. Il problema della commissione Seagram e il suo scopo incombono pesantemente. La crescita in questa rappresentazione è quella di un giovane pittore, che lotta contro il mondo creato da un gigante che a sua volta ha lottato contro i giganti della sua gioventù ormai passata da molto tempo.

Il Rothko di Ari è meravigliosamente brusco ed arrogante – perfino maleducato. Lui mostra il pittore come un pensatore, la cui arte è al servizio delle idee. Dipingere non “riguarda” più l’oggetto. Crea ciò che l’osservatore gli permette. Lui è certezza e insicurezza legate insieme. Anche se a tutti gli effetti è il mentore, è lui ad essere educato. Il Ken di Harrison è il complemento perfetto. Servile all’inizio, cresce durante tutta l’opera. Alla fine lui e il suo mentore si rivelano una miscela infiammabile. I loro scambi sono sempre pieni di tensione, anticipano..che cosa?

Sono 90 minuti totalmente appassionanti di dialoghi scoppiettanti e, si, qualche breve, concitata azione. Ari e Harrison sono affascinanti nei loro ruoli. E inoltre, stuzzica l’appetito di scovare il Rothko più vicino (“Sono un sostantivo?!”) per contemplare il senso della vita in sua presenza.



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