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Recensione: Red

Lunedì, 6 febbraio 2012

Di: Doug Strassler
Fonte: THEATERMANIA.COM
Tradotta da: Alessandra
Redatta da: Marcy

Nella parte centrale dell’opera teatrale Red, scritta dal vincitore di un Tony Award, John Logan, ed attualmente in scena al George Street Playhouse a New Brunswick (New Jersey) con la regia di Anders Cato, uno dei due personaggi principali guarda fisso di fronte a sé con i modi di fare e l’ottimismo di uno scommettitore, che attende di conoscere la sorte al tavolo della roulette.

Tuttavia, quest’uomo non è a Las Vegas o a Monte Carlo. Mark Rothko (Bob Ari) è un artista che vive a New York, un pittore espressionista astratto, che usa le lezioni con il suo apprendista Ken (Randy Harrison) per inveire contro coloro che impoveriscono o ignorano il potere dell’arte.

Ken, un artista di talento nel suo piccolo, entra nel rifugio di Rothko verso la fine degli anni ’50, quando al pittore venne commissionata per 35,000$ una serie di dipinti per adornare un ristorante Four Season nel Seagram Building di Philip Johnson. Nell’arco di due anni Rothko viene a sapere poco riguardo a Ken (non è interessato), benché tra i due si instauri comunque una caustica relazione padre-confessore.

Ari interpreta Rothko come un esasperato emarginato ed un uomo con molti demoni, che dà tutto se stesso alla sua arte e si dissocia da coloro che non fanno altrettanto. In molti modi, e in qualche caso anche letteralmente, lui ha dipinto se stesso in un angolo – come fa notare anche Ken.

Nonostante Harrison faccia un buon lavoro, interpretando il surrogato del pubblico e l’avvocato del diavolo, ogni volta che Ken ripete un punto di vista aggiuntivo, si ha la sensazione che lui stia esprimendo qualcosa che dovrebbe rimanere più implicito.

Il coup de théâtre dello spettacolo è una scena senza dialoghi, eseguita in maniera eccellente da Cato e dai suoi due attori, in cui questi ultimi immergono insieme una tela bianca nella vernice rossa. (Le composizioni e l’uso dei suoni di Scott Killian e l’ingegnoso uso delle luci da parte di Dan Kotlowitz danno un contributo incommensurabile alla scena). In seguito, uno di loro fuma una sigaretta e l’altro si distende per riprendere fiato.

E’ arte come metafora del sesso – ed è l’alto marchio creativo sia per l’opera che per la produzione.



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