Lettera da Ethel Kennedy (Review)

Maggio 2002
Di: Macey Levin
Fonte: CURTAINUP
Tradotta da: Manuela
Redatta da: Marcy


Christopher Gorman ha scritto la sua opera autobiografica A Letter From Ethel Kennedy, in scena ora al Teatro MCC, con l’idea che Joanna Gleason, vincitrice di un Tony Award, avrebbe diretto la sua amica Anita Gillette. Questo è avvenuto, ma Gorman non ha mai visto realizzarsi il suo sogno poiché è morto nel Maggio 2001 a causa di complicazioni legate all’AIDS. Sarebbe bello lodarne il lavoro; purtroppo, questo non è possibile.

Si tratta infatti di un’opera sull’AIDS che manca dell’intensità di The Normal Heart, l’acume di Falsettos o la vasta portata di Angels In America. Al di là degli aspetti superficiali e spesso analizzati di questa terribile malattia, l’opera focalizza l’attenzione sulla ricerca del protagonista di amore e riconoscimento da parte dei genitori e del suo ex compagno attraverso la pietà. Nonostante essi ammettano le loro colpe, egli continua ad essere la loro eterna vittima.

Kit Conway, commediografo, sta morendo. Organizza incontri separati e in momenti diversi con i suoi genitori, Bridget e Jimmy, in un ristorante in cui ha lavorato come cameriere. Matthew, dirigente cinematografico dal quale Kit si è separato diversi mesi prima dopo una relazione durata 10 anni, si trova per caso nel ristorante dopo un volo da Los Angeles. Il tentativo di salvare le relazioni e allo stesso tempo dire addio risveglia antagonismo latente e causa accuse e rivelazioni melodrammatiche.

Non solo Kit ma anche gli altri personaggi hanno le loro ferite emotive e/o fisiche. Fatta eccezione per un giovane cameriere, sono tutti alcolizzati o ex alcolizzati le cui vite sono state limitate dalla loro educazione cattolica irlandese. Bridget, che è in remissione da un cancro sconosciuto, e Jimmy hanno un matrimonio rabbioso. Matthew è innamorato di un prostituto tedesco con il quale ha passato una settimana quando aveva 21 anni. Ci viene mostrato ripetutamente che nessuno dei personaggi è soddisfatto della sua vita.

Il primo atto è quasi al 100% presentazione, a volte nella maniera più sfacciata. I dialoghi durante l’intera opera sono spesso turgidi con rare sequenze di osservazioni liriche sulla vita. Gorman ha anche inserito alcune frasi che sembrano buttate lì solo per suscitare ilarità. Molte sono divertenti, ma altre risultano piatte a causa dell’interpretazione o della struttura delle frasi stesse. Diverse battute ricorrenti sono pretenziose e gratuite. Confinati in un irrealmente tranquillo ristorante nel distretto di Broadway, i personaggi aspettano senza fine i loro pasti nel primo atto e sono serviti troppo velocemente nel secondo.

La direzione di Gleason è stata compromessa dalle esigenze proprie della sceneggiatura che frena il movimento e causa una messa in scena statica e spenta. Lo svolgimento di un conflitto in scena è drammatizzato dal posizionamento fisico dei personaggi. Se essi sono confinati in un singolo luogo, ad esempio un tavolo, la collisione di emozioni è smorzata e la struttura di sviluppo dell’opera è indebolita. I personaggi, specialmente Kit, rimangono seduti per lunghi periodi, il che richiede che gli attori si muovano con ciò che c’è sul tavolo, ma c’è un limite a ciò che si può fare con un tovagliolo o un bicchiere. A causa della mancanza di azione fisica, gli attori si devono focalizzare sui dialoghi i quali non sono emotivamente coinvolgenti. Inoltre, nessuno dei personaggi conquista le nostre menti o i nostri cuori poiché nessuno di loro è piacevole.

Il corpo dello spettacolo è un dramma realistico (più o meno) ma Gorman introduce un cambiamento stilistico dissonante verso la fine dell’opera. Inoltre, nei momenti finali, viene letto il contenuto di una lettera mandata a Kit da Ethel Kennedy in risposta alla sua nota di condoglianze in seguito all’assassinio di RFK. È terribilmente sentimentale e artificialmente ironica.

Le interpretazioni degli attori sono inconsistenti. La performance migliore è quella di Bernie McInerney nel ruolo di Jimmy, il meno sentimentale dei personaggi. Il suo cinismo si sviluppa nella sua incapacità di definire ciò che prova, così che egli può evitare di affrontare il suo fallimento come padre.

Nel primo atto Gillette interpreta Bridget e la rende una sbadata ubriaca con una nota comica che suona di superficialità. La sua apparizione seguente, quando è sobria e sofferente in seguito agli eventi che hanno cambiato la sua vita nell’anno precedente, è più sincera. Conferisce ai dialoghi da soap opera più credibilità di quanti essi ne contengano in realtà.

Jay Goede interpreta Kit con una delimitata serie di vittimismo, rancore e sarcasmo. Poiché è una presenza talmente negativa, è difficile immedesimarsi nel personaggio, il che compromette l’opera dall’inizio. Matt, interpretato da Stephen Barker Turner, manca di sostanza poiché le caratteristiche del personaggio sono indefinite e contraddittorie, caratteristiche attribuibili alla sceneggiatura.

Gorman, il quale si è costruito una carriera di regista teatrale e televisivo, aveva un sogno, ma non ha guardato al di là di se stesso per realizzarlo.



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Tradotta da
Manuela e redatta da Marcy

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